Dopo una estate di studio matto e disperatissimo e praticamente un anno filato di lavoro è ora di concedersi una vacanza.
"Andiamo ad Istanbul in treno"
"Niente di più facile"
In realtà, però, 'itinerario completamente su rotaia (Vienna, Budapest etc etc), viene presto bocciato: troppe città già viste, troppo "comodo". In ogni caso scopriremo che sarebbe comunque stato impossibile.
Alla fine, complice il prezzaccio del volo per Spalato, rinunciamo a partire in treno da Milano. Lo prenderemo, dove possibile, lungo il tragitto, ma da questo punto di vista i balcani sono messi maluccio e le ore passate in bus (una tortura per il sottoscritto) saranno tante...
Il viaggio ha inizio alla fine di luglio dell'anno scorso.
Easyjet atterra puntualissima a Spalato e a metà mattina siamo già in città. Il bus per Mostar non partirà prima di sera, quindi ci resta tutta la giornata.
Fatti i biglietti e sistemati gli zaini dedichiamo quel che resta della mattinata a visitare il Palazzo di Diocleziano,
La visita non porta via molto tempo, quindi dopo pranzo decidiamo di andare al mare e la scelta cade sulla "spiaggia" (scoglio attrezzato?) di Bene, raggiungibile in un quarto d'ora di autobus. Il tempo è orrendo e non fa per niente caldo, infatti passiamo più tempo al tavolo di un bar che sulle rive del mare. Io però non posso rinunciare al bagno.
Torniamo in città ad orario aperitivo e mangiamo qualcosa prima di salire sull'autobus che in poche ore dovrebbe portarci in Bosnia. Sarà un viaggio sorprendente...
Prima sorpresa: quello che pensavamo fosse un viaggio diretto, invece, prevede un cambio di autobus. La bigliettaia infatti ci consegna due biglietti distinti e ci rimette nelle mani dell'autista ("don't worry").
Il cambio dovrebbe avvenire a Vrgorac, a giudicare dai biglietti. In realtà dopo neanche mezz'ora di viaggio l'autista accosta in una piazzola e fa scendere tutti i passeggeri diretti in Bosnia. Dopo qualche minuto accosta un secondo bus sul quale veniamo caricati al volo.
E fin qui, nulla di grave, se non che (seconda sorpresa) quando arriviamo a Vrgorac si scopre che un giapponese - non chiedetemi perchè - è sull'autobus sbagliato. Già eravamo partiti con un po' di ritardo, con questo intoppo saliamo a più di un'ora.
Risolto il problemuccio finalmente varchiamo il confine con la Bosnia. Non si vede un tubo, ma le strade si fanno decisamente più tortuose.
Scarichiamo un tot di pellegrini a Medjugorie e finalmente, a notte fonda e in clamoroso ritardo, siamo a Mostar.
Spalato e il palazzo di Diocleziano
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La terza sorpresa arriva appena usciti dalla stazione dei bus, dato che non si vedono nè il fiume, nè la stazione ferroviaria, nè l'ostello, che dovrebbero essere tutti nel raggio di un centinaio di metri... In pratica, anzichè lasciarci alla stazione principale degli autobus, ci hanno mollati dall'altra parte della città. Scatta la caccia al taxi, che, però, è sorprendentemente breve (in dieci minuti ne saranno passati 4, all'una di notte).
Il taxista è gentilissimo, ma non conosce l'ostello: chiede a un collega, chiama, si fa richiamare, ma quando arriviamo nella via giusta cominciamo a girare a vuoto. Dopo dieci minuti lo ringraziamo e facciamo un tentativo a piedi: l'ostello era dietro l'angolo ma in una stradina sterrata, di notte praticamente invisibile.
Finita qui? No, perchè nel frattempo si sono fatte le due passate e al campanello dell'ostello non risponde nessuno. In compenso un cane randagio delle dimensioni di un vitello decide di venire a farci compagnia.
Alla fine siamo costretti a tirare giù dal letto il proprietario con una telefonata. Il poveretto, visibilmente sconvolto, esce dalla porta, ci mostra la camera e se ne va praticamente senza proferire parola.
Alle tre, finalmente, siamo sotto le coperte e ci addormentiamo con il rumore della Neretva che entra dalla finestra.
Nonostante tutto, la mattina dopo ci svegliamo relativamente presto. Visto che siamo già lì, per prima cosa andiamo a fare i biglietti del treno.
La prima cosa che notiamo appena usciti dalla porta è che la casa di fronte, in realtà, non è una casa, ma quel che resta di un edificio bombardato. E non sarà l'unico.
Un cartello sulla porta della stazione annuncia che la zona dei binari apre mezz'ora prima dell'arrivo dei treni, che poi sono 4 al giorno.
Che non sia proprio un posto frequentatissimo ce lo conferma anche il personale della stazione, che troviamo "in riunione" nella biglietteria con un bel mazzo di carte
Facciamo colazione al bar della stazione, o meglio, ci proviamo. Il bar non offre nulla da mangiare ma il cameriere ci invita a prendere qualcosa dal locale a fianco (peccato faccia eclusivamente hamburger...). Rimediamo prendendo solo un caffè e fermandoci più avanti in una panetteria.
Prendiamo la strada per la old town ma lungo la strada facciamo una deviazione dall'altra parte del fiume per vedere quella che la mappa indica come "linea del fronte". Concetto piuttosto labile in una città assediata, ma tant'è... "ammiriamo" quel che resta dell'Hotel Neretva e di altri edifici che si affacciano sulla stessa piazza e riprendiamo il nostro cammino.
La "linea del fronte"
La seconda tappa è alla moschea Karadozbeg: nulla a che vedere con quelle che vedremo ad Istanbul, ovviamente, ma per il sottoscritto è la prima volta in una moschea. Anche qui, come a Sarajevo, decine di lapidi strette nei luoghi più improbabili ricordano quel che successe vent'anni fa.
Poco prima di mezzogiorno arriviamo al simbolo della città, lo stari most. La libreria accanto al ponte mostra in continuazione un filmato che racconta la storia del ponte, della sua distruzione e della sua ricostruzione. Lo guardo con interesse, ma ancora più interessante è ascoltare gli stessi fatti dal proprietario, che li ha vissuti in prima persona. E così sarà anche nei giorni successivi: d'altronde in questi posti tutti quelli che hanno superato la ventina certi fatti, suo malgrado, non può no averli vissuti.
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Mentre attraversiamo il ponte un ragazzo del club dei tuffatori di Mostar scavalca la ringhiera e si prepara al tuffo, poi però ci ripensa (troppe poche offerte?). In ogni caso di tuffi ne vedremo parecchi durante il pranzo: il rumore che fanno quando impattano con l'acqua mi basta per dire che non lo farei neanche per un milione di euro...
Pranziamo (cevapi a volontà) su una terrazza con vista sul ponte, spendendo veramente una sciocchezza, come da prassi in Bosnia. Dopo pranzo facciamo qualche passo indietro e visitiamo la moschea di Koski Mehmed Pasa. Per salire in cima al minareto devo fare numeri circensi ma la vista è notevole.
A questo punto decidiamo di riattraversare il fiume per vedere il ponte storto e i dintorni chiesa situata sulla sponda "cristiana", ma nel frattempo il cielo è diventato nero come la notte e cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Ci avviamo verso l'ostello ma ad un certo punto dobbiamo ripararci in un ufficio postale. La pioggia però non dà segno di diminuire quindi non ci resta che prendercela tutta fino a casa.
Al di fuori della zona più turistica, a distanza di vent'anni gli edifici da recuperare sono ancora tantissimi
Entrati in ostello facciamo conoscenza con una coppia di coreani sulla cinquantina che (alle cinque del pomeriggio) sta affumicando mezzo ostello cucinando delle gran bistecche... Ci infiliamo dei vestiti asciutti e, dopo aver aspettato invano una tregua del maltempo, ci rintaniamo di nuovo nel bar della mattina.
Non ci resta quindi che fare un po' di provviste e farci un paio di birre aspettando l'apertura della stazione. A mezz'ora dalla partenza saliamo al binario, con noi per il momento c'è solo un gruppetto di ragazzi inglesi e americani, ma piano piano il marciapiede si riempie. Alle 7 e 12, puntualissimo, arriva il treno per Sarajevo che, nella fretta dovuta alla paura di non trovar posto a sedere, non ho fotografato.
Praticamente si tratta di tre carrozze, di colori, modelli e nazionalità completamente differenti. Noi saltiamo su quella celeste, che scopriremo essere un dono delle ferrovie svedesi: non è esattamente l'ultimo modello ma tutto sommato la seduta è comoda e gli interni (molto scandinavi) sono decisamente più puliti di certe schifezze nostrane.
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(scusate ma sono foto scattate dal cellulare)
Peraltro, ho letto che le ferrovie bosniache hanno fatto spese folli per acquistare dei modernissimi treni spagnoli, salvo rendersi conto che sono troppo onerosi da mantenere e continuare ad usare questi pezzi di antiquariato. (per la serie "tutto il mondo è paese").
Il treno risale lentamente la valle della Neretva, fermandosi spesso e volentieri. Ad una fermata viene improvvisato un servizio bar con un vassoio carico di bicchierini di caffè.
Il paesaggio è incantevole ma presto fa buio e non si vede più nulla. Poco dopo comincia a fare anche un po' troppo buio, dato che muore definitivamente anche l'ultimo neon che illuminava la carrozza. Il gruppetto degli anglosassoni attacca una torcia alla rastrelliera dei bagagli, noi invece ne approfittiamo per riposare un po'. Le inglesi alla nostra sinistra invece bevono grappa come fosse acqua fresca...
Intorno alle 10 arriviamo alla stazione di Sarajevo. Appena varcata la porta sentiamo un rumore di catenacci: non ci sono altri treni e la stazione chiude fino al giorno dopo.
Stazione (di giorno)
Siamo viaggiatori previdenti e quindi per prima cosa andiamo alla stazione dei bus per fare i biglietti per la tappa successiva. La bigliettaia, sorprendentemente, parla un ottimo italiano, ma in un eccesso di confidenza si convince che "Alessandro" sia il mio cognome e così emette il biglietto.
Torniamo nel piazzale della stazione e troviamo i nostri compagni di treno che stanno ancora aspettando il tram per il centro. I taxisti sostengono che non ne passeranno più, ma non ci fidiamo troppo... dopo un po' però constatiamo che, effettivamente, saranno passati almeno 40 minuti da quando siamo usciti dalla stazione, e quindi accettiamo la gentile offerta dei tassinari. In pratica finiamo per pagare, a occhio, il doppio della tariffa normale. La cosa un po' mi irrita ma son comunque pochi euro.
Appena partiti passiamo davanti alla ambasciata USA che oltre ad essere (non per caso) enorme sembra proprio una prigione, come ci fa notare il taxista.
Io ho una fame da lupi, quindi asciamo i bagagli in ostello e usciamo subito in cerca di cibo. Non sapendoci orientare, però, finiamo nella zona sbagliata della città e, anche per l'ora tarda, non troviamo altro che locali che non servono cibo. Non ci resta che farci un cicchetto, quindi, e rimandare a colazione.
Qui si chiude il secondo giorno di viaggio e la prima puntata del diario.
La prossima volta cercherò di non farmi prendere troppo la mano, promesso.
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